Vano sarebbe assecondare le pretese dei poeti. Il tempo è un bastardo, non restituisce gli istanti vissuti e gli attimi perduti al presente di chi, per ricomporli, cerca di ripercorrere i capitoli della propria storia, le tappe della propria vita, “i punti fermi contemporanei alle diverse età”. Il romanzo di Jennifer Egan – ma piuttosto patchwork di racconti, mosaico di short story, sequenza variopinta di proiezioni e flashback, le une accese di riflesso sulle sfaccettature di una sfera di cristallo a specchi, gli altri illuminati attraverso il prisma variegato della memoria – il romanzo di Egan si diceva, la sua singolare composizione narrativa che ha meritato il premio Pulitzer 2011, sembra scritto per confermare la frase di Marcel Proust citata in esergo.
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